Nella
trascrizione dei testi dialettali ho utilizzato, come per il vocabolario,
i segni ortografici delle
lingua italiana integrandoli con alcuni segni speciali:
il segno ë
che indica le vocali atone indistinte, caratterizzate da un suono molto debole,
che si trovano sia nel corpo e che alla fine della parola, per es. cëcàlë:
cicala, sàbbëtë:
sabato,
rìrë: ridere.
il segno h che indica
la fricativa velare sonora, un suono estraneo all'italiano che consiste in una
leggera aspirazione della g velare, per es. néhë: neo, statéhë:
stadera.
il segno š
che indica la fricativa alveopalale sorda, cioè la sc
palatale scempia, cioè non rafforzata come è sempre quella della lingua
italiana, per es. šcànàtë: pagnotta, šucà: giocare.
il segno û
che indica la semiconsonante labiovelare , per es. làûë: lago, truûà:
trovare.
il segno ż
che indica l'affricata dentale sonora, per es. rùnżulë: lamento,
żanżàrë: zanzara.
Ho segnato
l'accento grafico su tutte parole: sdrucciole (per es. cénnërë: cenere,
òmmënë: uomo), piane (per es. cànë: cane, uagliónë:
ragazzo), piane con vocale in iato (sempre dittonghi discendenti con la la
vocale atona chiusa) (per es. pìedë: piede, bbùonë: buono),
tronche (per es. ggià: già, mangià: mangiare). Alcuni lemmi hanno
richiesto l'uso di un accento secondario (segnalato ˘) oltre a quello del
culmine della parola (accento primario), per es. fëchĭià:
picchiare. Sopra la a
, la i e la u ho sempre posto l'accento grave, sopra la
e e la o l'accento grave per i suoni aperti, per
es. bbèllë: bello/a, rròbbë: roba , e l'accento acuto per i
suoni chiusi, per es. névë: neve, cósë: cosa.
Ho
utilizzato l’apostrofo anteposto o posposto per indicare la caduta di una o più
lettere. Il dialetto gallicchiese (come anche altri dialetti centro-meridionali)
fa largo uso dell’ aferesi, dell’elisione e dell’ apocope. L’aferesi è un
fenomeno fonetico che consiste nella caduta dei suoni iniziali di un vocabolo.
In dialetto, oltre alla caduta della vocale (aferesi vocalica, per es.
‘ccattà per accattà: comprare) è molto frequente quella di consonanti
(aferesi consonantica, per es., ‘assa per làssa:lascia) o di
intere sillabe iniziali (aferesi multipla, per es. ‘ssu per cuìssu:
codesto). L’elisione consiste nella soppressione di una vocale finale di una
parola davanti a un altra parola che inizia per vocale per es. fënéstr’
apèrtë: finestra aperta. L' apocope indica, invece, la caduta di una vocale
o di una sillaba finale indipendentemente dall'incontro con un'altra parola,
come per es. nelle forme imperative va' per vàië: vai; fa'
per fàië:fai. L’uso dell’aferesi, dell’elisione e
dell’apocope è di solito dettato da esigenze
eufoniche,
alla maniera greca anche il dialetto rifiuta generalmente lo iato (l’incontro di
due vocali che si pronunciano in modo separato).
Ho
voluto, infine, tener conto di un fenomeno fonetico e morfologico presente
nel dialetto galicchiese, come in quasi tutti i dialetti centro-meridionali:
il raddoppiamento
fonosintattico, il raddoppiamento, cioè, di una
consonante all'inizio della parola.
Tale rafforzamento, che è
una caratteristica anche dell’ italiano ma con modalità leggermente diverse, si
realizza per le consonanti quando sono precedute immediatamente da:
·
parole
ossitone (parole che portano l’accento sull’ultima sillaba), incluse cchiù:
più, tré: tre, no’: non;
·
le
preposizioni pë: per, a: a (tranne nel futuro àggi’ a fa:
farò);
·
le
congiunzioni e:e, o, në: ne;
·
l’interrogativo cé o cché: che?, cosa?
Es.:
tré ppòrtë: tre porte vs na pòrtë: una porta; Cchè ffàcë?:
Che fa?; attànëmë e ffratëmë: mio padre e mio fratello; pë nnu
curtìellë cchiù ggrànnë: con un cortello più grande; no’
ffàcë nìendë: non fa niente vs nòn vòlë fa nìendë: non vuole far
niente; à ffàtt’ assàië: ha fatto molto vs àggë fàtt’assàië: ho
fatto molto.