Una
tradizione che resiste, ancora a Gallicchio, anche se
limitata a poche famiglie, è l’uccisione del maiale.
L’allevamento di questo animale nella nostra regione
ha origini millenarie, fa parte della nostra cultura
contadina.
Il suo sacrificio simboleggia per un verso la
morte, la violenza e la sofferenza,
dall'altro la vita che si rinnova: i 3/4 giorni di abbondanza che seguono la sua uccisione danno conforto e speranza per il futuro.
Nelle fredde mattine d'inverno il maiale viene
prelevato dal porcile dal proprietario
con l’aiuto dei famigliari e di alcuni
amici. Legato per il grugno viene trascinato verso il
luogo scelto per la macellazione
dove in un grande
calderone nero, sta bollendo dell' acqua.
Tocca a una persona esperta recidere
con un coltello, lungo e sottile (u scannatùrë), la carotide dell'animale tenuto fermo da almeno sei
o sette uomini robusti. Una volta trafitto il collo
del porco,
viene per prima cosa recuperato il sangue con il quale si
farà il sanguinaccio. Dopo poco il maiale muore
dissanguato consentendo a coloro che lo trattengono di
tirare un respiro di sollievo,
quando infatti il
colpo mortale non è ben assestato il
povero animale si dibatte a lungo tra atroci
sofferenze e urla strazianti.
Ma il lavoro non è finito...
Da questo momento in poi serve un
grande quantitativo di acqua, fornita dal
calderone posto sul fuoco. L'acqua bollente garantisce
da una parte la perfetta pulizia della parte esterna e
dall'altra una rapida e completa rimozione delle setole. Il
maiale viene disteso in un lungo recipiente di legno,
chiamato "gàvëtë",
pian piano viene sommerso di
acqua bollente e ne vengono asportate minuziosamente
le setole
adoperando i coltelli e dei
raschietti metallici.
L'operazione di pulitura prosegue lenta e meticolosa.
Ultimato il lavoro di pulizia, il
maiale viene tirato su per le zampe posteriori, nelle quali
è stato inserito un attrezzo triangolare, detto
"gammìglië": viene issato e tenuto in posizione verticale a
testa in giù, viene eliminata qualche setola rimasta
con l'aiuto di un rasoio e viene fatto scorrere il
sangue eventualnente rimasto ancora all'interno.
Si inizia , quindi, il sezionamento
dell'animale: innanzitutto si taglia la testa,
poi si procede ad aprire la parte anteriore per vuotare il
maiale delle interiora, quindi si divide in due parti
nel senso della lunghezza, tagliando la spina
dorsale.
.
Le donne, che hanno avuto fin ora dei compiti marginali,
iniziano la loro opera adesso con la pulitura delle
interiora. Gli intestini, che sono divisi per
grandezza, potendo essere utilizzati o per la salsiccia
(intestino tenue) o per la sopressata (intestino crasso),
vengono lavati ben, bene e lasciati in ammollo con
foglie di alloro e tocchetti di arancia con la buccia
che servono per aromizzarli.
La selezione delle budella richiede mani
esperte e delicate, perchè è molto facile che si
lacerino.
Dopo che il maiale è stato aperto,
ripulito e diviso in due, il lavoro per la prima giornata è
finito e allora ci si dedica alla piacevolezza della tavola.
Il giorno successivo il maiale,
rimasto appeso per tutta la notte
è ben salassato e raffreddato.
Viene perciò tirato giù e tagliato
in parti grossolane che vengono prima di tutto dissossate e
scotennate,
lasciando eventualmente intatti per la stagionatura i
prosciutti, le pancette ecc.. Poi viene separato il lardo,
la
carne
di seconda e terza scelta
per il salame e quella
delle parti più pregiate
per la
soppressata.
Il
cuore
e i polmoni ed altri scarti di carne grassa o piena di
sangue vengono messi da parte per la preparazione di un
salciccia meno nobile detta "
murtatéllë"
o "pëzzéndë".
Oggi il lardo del maiale viene poco
utilizzato, mentre in passato la bontà del maiale si
misurava proprio
dallo spessore del grasso sulla sua schiena.
Il lardo viene
separato con il coltello dalla cotenna e tagliato in
tanti piccoli tocchi che, il giorno seguente, veranno
sciolti sul fuoco in una caldaia per ricavarne lo strutto,
utilizzato per conservare il salame stagionato e poi le ariste,
gli involtini di carne e di fegato, fritti
nello strutto stesso.
Il lavoro di selezione della carne, è assai importante e
richiede cura e attenzione. Seduti
di solito intorno
un tavolo basso (a bbuffèttë), la carne viene tagliata in pezzi non
tanto grandi per facilitarne la tritatura con la macchina a
manovella (una volta la carne veniva sminuzzata a mano con
la tecnica a punta di coltello). Durante
questa occupazione si chiacchiera di tutto, essendo una
bella occasione per amici e parenti per rilassare la
mente e scambiarsi notizie.
Dopo aver sminuzzato la carne
bisogna pesarla per
aggiungere, in proporzione al peso, il sale per la
conservazione e le spezie. La carne per il salame
viene
aromatizzata con polvere di peperone o di peperoncino
e i semi di finocchio selvatico, mentre quella per la
soppressata con grani di pepe interi o ravvivati con una
leggera pestatura nel mortaio. Amalgamati bene gli
ingredienti con le mani,
si
passa all'insaccamento: oggi si utilizza la
macchina a manovella, mentre in passato anche
questo lavoro veniva fatto a mano premendo con le dita la
carne in un imbuto posto nell’intestino.
Il salame, la cosiddetta
"mortadella" e la soppressata vengono riposti
nelle
ceste dove riposeranno per 24 ore, trascorse le quali
i primi due insaccati verranno appesi a lunghi bastoni
legati al soffitto (i vèrghë) in una stanza asciutta e ventilata,
mentre il terzo sarà messo sotto pressa per 3 0 4
giorni prima di essere a sua volta appeso per la
stagionatura.
Come da tradizione, niente del
maiale va perso, quindi il lavoro continua anche il giorno
successivo, quando si preparano: lo strutto; i
cotechini, aromatizzati con semi di finocchio selvatico e
polvere di peperone, che insieme alle orecchie, i piedi
vengono messi in salamoia in vasi terracotta; gli involtini
di carne,
aromatizzati con aglio e prezzemolo e
le
fette di fegato cosparse di aglio e prezzemolo e
avvolte nella rete con foglie di alloro, che come detto
vengono fatti friggere nello strutto e vengono in esso
conservati.
Il sangue raccolto al momento
dell'uccisione è l'elemento base del
sanguinaccio, un cremoso dolce con cioccolato, caffè,
pan grattato, che si fa quando tutte le parti del maiale
sono state lavorate (di solito quattro giorni dopo
l'abbattimento del animale). Dal composto del sanguinaccio
viene poi ricavato un altro dolce detto "frascatùlë"
o "pulèndë".
La preparazione della polenta dolce
costituisce l'ultimo atto di una festa familiare basata sul
sacrificio di un animale tanto vilipeso da vivo, quanto
apprezzato da morto, i cui umili prodotti rappresentavano un
tempo l'unica grande ricchezza per la povere famiglie
contadine.