UN PAESE  

DA SCOPRIRE

DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO

a cura di Maria Grazia Balzano

 

STORIA

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| CONTRIBUTO ALLA STORIA DI GALLICCHIO (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) | IPOTESI SULL'ORIGINE DEL NOME |

| ELENCO DEI FEUDATARI DI GALLICCHIO E MISSANELLO |

 

    

1. Gallicchio Vetere

 

Per far luce sull'origine di  Gallicchio non si può prescindere dall'indagare il rapporto dell' attuale paese con una Gallicchio Vetere che sorgeva nella contrada omonima a tre km dall' abitato moderno e che secondo la tradizione orale sarebbe stata distrutta dai Saraceni: i pochi superstiti avrebbero fondato il nuovo borgo dopo essersi rifugiati nelle grotte scavate nelle parete occidentale del  fosso detto "dei Monaci". Il rinvenimento qua e là nella zona di Gallicchio Vetere, durante i lavori di aratura dei campi, di  tegole, frammenti di vasi, monete, aveva suscitato già all'inizio del secondo scorso l'interesse dell' archeologo Vincenzo di Cicco che nel 1901  esplorando l'area ne aveva riscontrato una  frequentazione antica. Nel febbraio del 1968 era  stato poi rinvenuto, sempre nella stessa zona,  un tesoretto, di 13 monete d’argento di varie zecche della Magna Grecia (Metaponto, Eraclea, Turi, Cotrone e Taranto) tra cui uno statere di Taranto e due frazioni sempre di Taranto, un didramma e tre frazioni di Turi e tetradrammi di Terme, databili al 290-280 a..C. (le monete sono attualmente conservate nel Museo Nazionale della Siritide)

 

MONETE  DELLA  MAGNA GRECIA  DEL  III SEC. A..C.

Statere di Taranto

Didramma di Taranto 

Dracma di  Metaponto

Didramma di Eraclea

 Didramma di Crotone

 

Nei mesi di luglio e settembre 1987 nell'ambito del programma di indagine sui centri fortificati delleValli dell'Agri e del Sinni, avviato dalla Soprintendenza archeologica della Basilicata in collaborazione con diversi studiosi ed Università, è stata finalmente eseguita  nell'area di Gallicchio Vetere una prima campagna di scavi che si sono concentrati sul primo, e più alto, di due ampi pianori articolato in due terrazze. Lungo il margine occidentale della terrazza inferiore sono stati trovati i resti di un muro lungo 4,70 metri, realizzato in grossi ciottoli, allettati con malta di colore bianco, al quale, per un tratto di 60 cm se ne lega un altro realizzato con la stessa tecnica. La Dott.ssa Rosanna Corchia dell' Università di Lecce e i collaboratori Roberto De Gennaro e Alfonso Santoriello dell' Università di Salerno, che si sono occupati dell' esplorazione del sito, hanno riscontrato su tutta l'area della terrazza, tanto in superficie quanto al livello dell'impostazione dei muri, una presenza omogenea di materiale ceramico: molti i frammenti di tegole, ceramica acroma, ceramica da cucina, frammenti di pentole e tegami di un impasto bruno rossiccio. Significativa la presenza di sigillata italica, in prevalenza coppe, e di un frammento di lucerna a volute con beccuccio ogivale. Sulla terrazza superiore del pianoro, più estesa, è stato rinvenuto un lungo muro identificato come il muro perimetrale di un grande edificio, distinto in ambienti quadrangolari, sul quale si innesta un secondo muro per la lunghezza di 9,20 metri. In un piccolo ambiente dell'abitazione (m. 3,60 x 1,90) distinto in due vani  è stato osservato  un pavimento in coccio pesto, molto compatto. In superficie, come ai livelli di uso e di abbandono della struttura, è stato ritrovato in modo omogeneo diverso materiale: ceramica acroma e da fuoco, pithoi (grandi giare per immagazzimento di prodotti alimentari) , anfore, scarsi frammenti di ceramica apula a figure rosse (fra le forme prevalenti oinochoe trilobata,  vaso per mescere e versare vino, e pelike,  vaso da trasporto simile all'anfora, ma più ampio nella parte inferiore del corpo), numerosi pesi da telaio, ceramica a vernice nera, in prevalenza piattelli e coppette, databili dalla fine del IV a tutto il III secolo a.C. e unguentari riferibili allo stesso periodo.

 

Pithos

Anfora

Lucerna  con beccuccio ogivale a volute

Oinochoe a bocca tribolata

Pelike

Pesi da telaio

Frammenti di ceramica sigillata italica

 

Nella parte centrale dell'edificio è stato poi rinventuto un quincunx di Luceria, databile  fra il 211 e il 208 a.C.

 

 Quincunx di Luceria, moneta di bronzo del valore di mezzo asse.

 

Secondo la Dott.ssa Corchia (Gallicchio: un insediamento, 1990)  i dati offerti da questa prima indagine nel territorio di Gallicchio Vetere attestano la presenza di un insediamento indigeno lucano che tra il che IV e III,  sotto lo stimolo e il pungolo delle colonie greche, soprattutto di Heraclea, si andava organizzando in strutture abitative di modello greco: fattorie, con ambienti regolari di diversa destinazione, con attività per la produzione di oggetti d'uso, come per esempio la tessitura.  La ceramica di produzione Magno Greca e la sua imitazione locale, nonchè le monete d'argento ritrovate nel 1968 sono la  testimonianza dell'impatto greco sulla comunità di Gallicchio Vetere.

Nella seconda metà del IV secolo a.C. il fiume Agri, che era allora navigabile, ricopriva un ruolo molto importante per i collegamenti tra Ionio e Tirreno. In molti centri della valle dell'Agri e del Sinni circolavano prodotti vascolari provenienti dal Vallo di Diano come quelli dell'officina del pittore di Padula Sterpone, altri prodotti di prestigio arrivavano dall'area di Poseidonia (poi Paestum) come quelli del pittore Assteas. Nel centro di San Brancato, che nel pieno della seconda metà del IV sec. a.C. viveva un periodo di particolare benessere economico con adeguato indice di densità demografica,  operava quasi sicuramente il pittore di Roccanova i cui prodotti ceramici sono attestati nella stessa necropoli di San Bancrato, scoperta negli anni ottanta,  e nei centri circostanti. Successivamente prodotti di uguale livello cominciarono ad arrivare dall'area tarantina come vasi di fabbricazione o di influenza apula.  Gli archeologi hanno potuto distinguere  cronologicamente, nell'ambito di questi contatti, una prima fase di gravitazione tirrenica e una seconda di maggiore influenza "tarantina". Nella prima fase sono tipiche le forme a vernice nera. I vasi a figure rosse del pittore di Roccanova o di Assteas rientrano sempre nelle produzioni campano-lucane della fine della prima metà del IV secolo.

Dal terzo venticinquennio del IV  secolo si ebbe una progressiva e reale influenza del mondo apulo o più propriamente un'apertura verso il mondo ionico, determinata certamente dal nuovo assetto politico della regione. Con le prime spedizioni volute da Taranto  dei condottieri stranieri,  culminate poi nella battaglia di Heraclea del 280 a.C., l'area della media Val d’Agri iniziò a gravitare verso il mondo greco dell'arco ionico. Più tardi,  nel complesso quadro della guerra tra Roma,Taranto e i Lucani, si realizzò in pochi decenni la conquista della Magna Grecia da parte di Roma con una riorganizzazione del territorio, nel quale mutarono  i poli di riferimento economici, con notevoli conseguenze nell'assetto demografico precedente sia della campagna sia dei centri abitati. Con la fondazione della  colonia  romana  di Grumentum, nella prima metà del III a.C., sembra che i grandi abitati fortificati dell'Agri del Sinni, e lo stesso centro di San Brancato, decaddessero e scomparissero rapidamente.   

Gallicchio Vetere offre, invece, tracce di continuità di vita anche in età romana. Le principali sono costituite dall'affinità di tecnica costruttiva e tipo di malta fra i due tratti di muro messi in luce, sulla terrazza inferiore del pianoro espolorato durante gli scavi del 1987, e i muri radiali dell'anfiteatro di Grumentum, e dalla presenza, solo su questa stessa terrazza, di coppe in terra sigillata italica. L''anfiteatro di Grumentum  fu costruito come quello di Pompei nel I sec. a. C., probabilmente intorno alla metà del secolo. La terra sigillata italica, una classe di ceramica fine da mensa rivestita da una vernice rossa brillante, fu prodotta dalla tarda età repubblicana alla tarda età imperiale in tutto il mondo romano. I centri maggiori di produzione furono Arezzo e Pozzuoli, ma alcune officine operarono anche a Pisa, Siena, Ostia e Cales. Solo la presenza di un "sigillo" riferibile a una determinata officina o le analisi mineralogiche dell’argilla consentono di attribuire con esattezza un reperto di questa classe ceramica ad una determinata area di produzione. La terra sigillata si sostituì  alla vernice nera, come ceramica fine da mensa, intorno alla metà del I sec. a.C. A partire dal II Triumvirato, tutto il mercato fu letteralmente invaso dalla terra sigillata, che vide il periodo di maggiore fioritura tra gli anni trenta del I sec. a.C. e gli anni trenta del I d.C. (età augusteo-tiberiana). In età neroniana la terra sigillata subì un mutamento interno con una contrazione dei centri di produzione e di mercato, ma la sua produzione si arrestò solo nel corso del II secolo d.C. Non sappiamo con sicurezza  se la terra sigillata rinvenuta a Gallicchio Vetere fosse di età repubblicana o di età imperiale (gli archeologi che hanno eseguito gli scavi non ne hanno indicato il periodo di produzione), ma la sua presenza, insieme a quella dei due tratti di muro di cui abbiamo detto,  attesta una sopravvivenza del centro come insediamento romano almeno fino alla seconda metà del I sec. a.C.

Il prof. Mario Sanchirico, autore di una recente opera sulla storia di Gallicchio, ha ipotizzato che l'antico centro abitato dell'epoca romana fosse ancora in vita nel II d.c., basandosi  sulla datazione di una moneta di bronzo ritrovata negli anni novanta nella piana di Galliccho Vetere dal Sig. Domenico Balzano. Secondo il Prof. Sanchirico la moneta sarebbe dedicata al medico Galeno, che visse a Roma dal 162 al 201 d.C,  per la scritta "Galeno" che porta sulla parte perimetrale e per il  gallo su di essa rappresentato, animale caro ad Esculapio Dio della medicina.

 

Dritto della moneta rinvenuta da Domenico Balzano  a Gallicchio Vetere

Rovescio della moneta rinvenuta da Domenico Balzano a Gallicchio Vetere

 

A un  esame più attento sembra che in realtà questa moneta possa appartere a un gruppo di monete di bronzo, raffiguranti al dritto la testa di Minerva con elmo corinzio e al rovescio un gallo stante (che riposa sulle due zampe) volto verso destra, con davanti la legenda con l'etnico "CALENO" in alfabeto latino, che furono coniate dalla città campana di Cales tra il 268 a.c. e la seconda guerra punica. Cales era il più importante centro urbano dell'antica popolazione italica degli Ausoni  e si trovava sulla via Latina, a metà strada tra le montagne del Sannio e la pianura della Campania Felix, pochi chilometri a nord di Casilinum (l'attuale Capua) . Le monete di Cales sono inserite tra quelle emesse da colonie e alleati di Roma, in una zona che si incentrava intorno alla Campania antica. Dopo la Seconda guerra punica, Cales, come la maggior parte dei centri dell'Italia oramai romana, non coniò più monete proprie e usò la monetazione romana, incentrata sul denario.

Il gruppo di monete con il tipo di Minerva e il gallo è uno dei due della monetazione enea di Cales. (l' altro gruppo di monete di bronzo presenta al dritto la testa di Apollo, cinta da una corona d'alloro, per lo più volta a sinistra, ed al rovescio un toro androprosopo, cioè un toro con faccia umana). Sono state individuate tre serie caratterizzate dal tipo di Minerva al dritto e da un gallo al rovescio:

 

dritto

rovescio

Minerva a sinistra gallo - stella. Davanti CALENO
Minerva a sinistra. Davanti CALENO gallo - stella. Davanti crescente e A
Minerva a destra gallo - stella. Davanti CALENO

 

Purtroppo il dritto del bronzo rinvenuto a Gallicchio Vetere è talmente deteriorato da non permettere di distinguere con chiarezza la  testa di Minerva, ma nel rovescio si  può osservare, senza ombra di dubbio, un gallo stante con davanti l'etnico CALENO. A quanto sembra, quindi,   la moneta trovata dal Sig. Balzano non solo non è del II sec. d.c., ma  è più antica di almeno quattro secoli:  potrebbe essere dello stesso periodo del Quincux di Luceria (datato tra il 211 e il 208 a.C.) rinvenuto durante gli scavi del 1987.

Resta comunque valida la contestazione da parte del Prof. Sanchirico dell' ipotesi avanzata negli anni '70 dall' allora parroco di Gallicchio e Missanello, Don  Antonio Di Leo, di una distruzione di Gallicchio Vetere ad opera dell'esercito romano, dopo le vittorie  su Annibale  nella pianura di Grumento (l'ipotesi era stata presentata nel primo voloume di "Nuove Luci Lucane" di Padre Tito e Rocco Robertella, la prima  pubblicazione organica sulla storia di Gallicchio dalle origini ai nostri giorni), perchè, come abbiamo visto, nella  seconda metà del I sec. a.C. il paese esisteva ancora.

Ma come attribuire ai Saraceni, per seguire la tradizione orale,  la devastazione  di un centro le cui ultime notizie certe risalgono ad circa  800 anni  prima delle loro più antiche scorribande nelle terre di Basilicata? Bisognerenne trovare delle tracce che dimostrino  l'esistenza  di Gallicchio Vetere almeno fino al IX sec. d.c. Gli scavi del 1987, in effetti,  sono stati solo un intervento esplorativo dell'area che, a parere degli stessi archeologici che li hanno effettuati,  necessita di  una più estesa e attenta ricognizione. É verosimile, tuttavia, che  nel corso dei secoli molto materiale archeologico sia stato  portato via dal sito da privati cittadini in seguito a  ritrovamenti casuali  o programmati. Il Sig. Balzano, per esempio, ci ha assicurato che qualche mese dopo il rinvenimento della  la moneta  di Cales, un cercatore professionista, munito di metal-detector, aveva trovato un sesterzo romano quasi  nello stesso luogo. Sappiamo, inoltre, con sicurezza che all'inizio del secolo scorso venivano recuperati a Gallicchio Vetere, oltre ai soliti frammenti di tegole e di vasi,  monete  d'argento e di bronzo di varie epoche e  piccoli idoli di terracotta e di bronzo, come riferisce il succitato Vincenzo Di Cicco nel resoconto dell' esplorazione del territorio di Gallicchio, pubblicato sulla rivista Notizie Storiche di Antichità,  che  riportiamo integralmente:

"GALLICCHIO — A tre km. dall'abitato, prospiciente al fiume Agri,  si distende la contrada detta « Gallicchio vetere». È un piano vasto, leggermente ondulato e naturalmente difeso: si univa ad altre terre dalla parte chiamata « Porta di Gallicchio vetere » In questa località, essendo indifesa, lungo il ciglione del piano, sorgeva una muraglia, ed ancora se ne osserva il tracciato del pietrame che la componeva. Il sito  è aprico, ventilato e domina tutta la valle del corso inferiore dell' Agri. Per i lavori a coltura dei cereali, vengono fuori frammenti di tegole, embrici e vasi: si sono raccolte monete di argento e di bronzo di Metaponto, Eraclea, Turio, Cotrone e Taranto,  nonché danari e bronzi imperiali romani e bizantini.  Molti idoletti si sono rinvenuti  di terracotta e di bronzo. Mi fu fatto osservare una piccola statuetta di bronzo, raffigurante Apollo: è di  belle forme ed espressivo. Le terrecotte sono identiche a quelle che s' incontrano cosparse sul suolo dell' antica Metaponto, Eraclea e Siri. Il sito si prestava per una città di riguardo.  Le tombe giacciono nella campagna viciniore: si sono rinvenuti vasi ed altri cimeli analoghi per fattura ed epoca a quelli di Serralustrante. In contrada s. Eramo,  non ha guari, venne in luce una grossa anfora, di bella sagoma e munita di alte anse a rotella: le figure sono rosse in campo nero, e gli ornati neri in campo rosso.  Il disegno risente dell' arcaico, e appartiene al periodo di transizione tra i vasi attici e quelli figurati di bello stile. Una tegola, appartenuta ad una tomba, aveva impresso un bollo figulino con le lettere a rilievo Y e KCM e questa fu trovata in contrada Pozzicelli o Guardature.  A cinque klm.  da Gallicchio si trovano i ruderi del castello medioevale di Castiglione. Nelle sottostanti balze a picco e nel tortuoso ed angusto vallone a secco,  sonovi delle grotte: in una avvi un divisorio. In quei paraggi si rinvengono tombe remotissime, una delle quali diede una piccola lancia a cannone appartenuta ad una di bronzo".

Si capisce bene  l' importanza  di un simile documento per la storia di Gallicchio Vetetre.  Di Cicco parla chiaramente del rinvenimento,  oltre che di danari e bronzi imperiali  romani, di bronzi bizantini,  la cui presenza  sposta inevitabilmente  la sopravvivenza  di Gallicchio Vetere fino all' epoca bizantina rendendo plausibile una distruzione del centro da parte dei Saraceni.  Purtroppo non sappiamo dove si trovino ora queste  monete (sarebbe  molto importante poter scoprire anche se la statuetta di Apollo, descritto come " di  belle forme ed espressivo",  possa far attualmente  parte di una qualche collezione pubblica o privata)  e  di conseguenza non è possibile  verificarne l'esattezza della datazione. Certo Vincenzo Di Cicco scriveva nel 1901 per una prestigiosa rivista di archeologia,   e  presumibilmente  aveva   tutte le competenze necessarie per poter riconoscere delle monete antiche. Purtroppo  però,  come avverte il curatore  degli  "Aggiornamenti e correzioni del Repertorio dei ritrovamenti di moneta Altomedievale in Italia (489-1002)" che registra anche il ritrovamento delle monete di Gallicchio Vetere citando Di Cicco,  molti autori del passato parlando di "monete bizantine" facevano riferimento a testi che intendevano come “bizantine” le emissioni imperiali orientali del  IV  e V secolo d.C.. Questa ultima considerazione ci allontana di nuovo dall'ipotesi di un nesso tra la distruzione da parte dei Saraceni della Gallicchio Vetere e la nascita della Gallicchio "nuova" e difficilmente si potrà, anche in futuro, chiarire il reale rapporto tra questi due centri, oltre che per la scarsità di reperti archeologici, per la difficoltà di reperire documentazione archivistica  relativa al lungo periodo in cui le nostre terre  videro le dominazioni dei Longombardi, dei Bizantini, dei Normanni e furono devastate a più riprese dai Saraceni.